Nelle maggiori aree urbane, circa i 2/3 delle vittime di incidenti stradali sono costituiti da utenti deboli (pedoni e ciclisti) e da conducenti di motocicli; da questi dati emerge un quadro generale della pericolosità dell’ambiente stradale in città.
La strategia delle zone 30 si è dimostrata come il tipo di azione più efficace per mettere in sicurezza lo spazio della mobilità interna agli ambiti residenziali.
Essa si presenta sotto diverse denominazioni, a seconda anche dei contesti nazionali: il più delle volte viene indicata come politica di “moderazione del traffico” (traffic calming); talvolta come azione di messa in sicurezza del traffico nelle zone residenziali. In effetti, la strategia delle “zone 30” persegue l’obiettivo primario della sicurezza dello spazio della mobilità negli ambiti residenziali urbani.
Il suo fine, però, è più ampio, perché essa mira anche a rispondere ad una domanda di maggiore multifunzionalità della strada urbana, la quale, con la grande diffusione della motorizzazione privata, ha finito per essere quasi esclusivamente lo spazio dedicato alle automobili. Vi è dunque un problema di riequilibrio, all’interno del settore della mobilità, tra spazio dedicato al traffico motorizzato e spazio dedicato alla mobilità pedonale e ciclabile e, all’interno di quello motorizzato, tra spazio dedicato al mezzo pubblico e spazio dedicato al mezzo privato.
Ma la strada, sebbene rimanga dominio delle funzioni di mobilità, deve rispondere, specie all’interno dello spazio residenziale, anche ad altre funzioni, quali quelle tipiche del commercio, dell’interazione sociale e dell’incontro e, nelle aree di maggiore tranquillità, dovrebbe poter ospitare anche le funzioni di gioco dei bambini. Peraltro, va considerato anche il fatto che in tutte le nostre città vi sono ampie aree di centro storico interessate da attività di fruizione turistica, dove il traffico motorizzato intenso presenta non pochi motivi di incompatibilità ambientale.
Le strade in ambito urbano devono portare benefici in sicurezza, multifunzionalità e qualità ambientale. La strategia delle zone 30 va inquadrata in una più complessiva politica di miglioramento dell’ambiente urbano e della sua vivibilità, sulla quale il traffico motorizzato esercita una influenza decisiva.
I primi tentativi di moderazione del traffico furono introdotti in Inghilterra a partire dal 1966: essi consistevano nella creazione di shared spaces, cioè di spazi condivisi tra gli utenti, realizzati chiudendo a fondo cieco alcuni tratti di strada e consentendo sull’intera superficie viaria il transito promiscuo dei pedoni, dei ciclisti e dei veicoli motorizzati. Lo shared space può essere considerato il predecessore del woonerf olandese, spazio introdotto per la prima volta in Olanda negli anni Settanta, nella città di Delft, in seguito alla mobilitazione di un gruppo di residenti che desideravano contrastare i continui incidenti provocati dalle automobili.
I woonerven sono sorti con gli stessi obiettivi degli spazi condivisi inglesi: permettere agli utenti deboli di riappropriarsi delle strade locali, dominate dalle automobili, per tornare a svolgere le funzioni tipiche degli spazi residenziali, quali passeggiare, sostare, incontrarsi, socializzare, andare in bicicletta, giocare.
In Inghilterra, in anni abbastanza recenti, si è diffusa una nuova forma di moderazione del traffico, che ha sostituito l’esperienza degli shared spaces con quella dei woonerven olandesi: si tratta delle home zones, strade residenziali spesso a fondo cieco in cui i veicoli sono obbligati a mantenere velocità molto ridotte a causa della stessa conformazione fisica della strada.
È opportuno segnalare che né i woonerven, né le home zones diminuiscono l’accessibilità veicolare alle residenze o riducono drasticamente gli spazi per la sosta delle automobili dei residenti: essi introducono una diversa concezione dello spazio stradale all’interno agli ambiti residenziali, compatibile con la presenza delle automobili, ma più efficace se il tasso di utilizzo delle stesse da parte degli abitanti è più contenuto.
Queste forme di condivisione dello spazio stradale residenziale, che pure si stanno diffondendo con successo in molte città europee, non possono ovviamente essere considerate le soluzioni generalizzabili al complesso delle strade residenziali. Per cui, parallelamente ai woonerven e alle home zones si sono diffuse forme di moderazione del traffico più estensive e meno intensive, con soluzioni più simili alle strade tradizionali e quindi meno radicali per quanto concerne le limitazioni imposte al traffico motorizzato. Si tratta appunto delle “zone 30”, che hanno assunto nomi diversi nei vari Paesi europei: “zone 30” in Italia e in Francia, “20 mph zones” in Gran Bretagna, “tempo 30 zonen” nei Paesi di lingua tedesca.
La fisionomia della strada non viene sostanzialmente modificata, poiché viene mantenuta la distinzione fra i marciapiedi, destinati ai pedoni, e la carreggiata, destinata ai veicoli; inoltre i pedoni non hanno la precedenza in ogni punto della strada, ma soltanto in corrispondenza degli attraversamenti pedonali. La vera conquista delle “zone 30” consiste nel grande incremento della sicurezza: i veicoli sono indotti, dalla conformazione della strada, a non superare i limiti di velocità di sicurezza, che talvolta sono anche inferiori a 30 km/h.
Oltre ad aumentare la sicurezza, la realizzazione delle zone 30 costituisce un’occasione per riqualificare gli spazi stradali, incrementando il valore estetico del paesaggio urbano residenziale.
Le zone 30 hanno sperimentato un’ampia diffusione in Europa, entrando a far parte della normativa sui trasporti di molti Stati: in Gran Bretagna, ad esempio, esse sono state trattate dal Traffic Calming Act del 1992, mentre in Francia sono state introdotte dal decreto 29 novembre 1990 n. 90/1060 “Modifiche e integrazioni al Codice della strada francese”. In molti Stati, la normativa prevede la possibilità di instaurare un doppio regime nelle zone residenziali: le “zone 30”, in cui le strade mantengono l’aspetto tradizionale ma sono trattate con le tecniche della moderazione del traffico e i woonerven o home zones, dotati di apposito segnale, in cui gli interventi sono più intensivi. Nella prassi, comunque, spesso non vi è soluzione di continuità tra le zone 30 e i woonerven o home zones, ma vi sono insiemi di strade con misure di moderazione più o meno energiche.
Come evidenziato dai dati Istat (consultabili sul sito Internet http://www.istat.it), la ragione prima dell’incidentalità stradale è rappresentata dall’eccesso di velocità dei veicoli a motore: l’incidente si produce in quella situazione in cui il conducente sta procedendo ad una velocità che non gli consente di arrestare il veicolo in tempo utile per evitare l’impatto, stante la situazione ambientale della strada e la visibilità che essa permette nelle varie potenziali situazioni di pericolo.
La velocità di sicurezza è variabile in funzione delle diverse situazioni offerte dallo spazio stradale e dal modo in cui questo è usato. La moderazione del traffico si propone di fare in modo che il conducente di un veicolo a motore sia indotto a mantenere in ogni situazione la giusta velocità di sicurezza. Per ottenere questo risultato la strategia della zona 30 si fonda su due pilastri fondamentali:
- il ridisegno delle strade. Il tradizionale disegno delle strade urbane non risponde a criteri di sicurezza; esso va dunque ripensato, adottando in modo sistematico la tecnica delle misure di moderazione del traffico. Il modello di riferimento per questo ridisegno si basa sul principio della continuità della rete dei marciapiedi e delle piste ciclabili e della conseguente discontinuità della rete delle corsie destinate al traffico motorizzato. Quindi, ad ogni intersezione, non è il pedone che “attraversa la strada”, ma è il conducente del veicolo a motore che “attraversa il percorso pedonale (e la pista ciclabile)”. Ad ogni intersezione o luogo di potenziale impatto tra pedone e veicolo, la strada deve essere disegnata in modo da indurre il conducente del veicolo a mantenere una velocità entro i margini di massima sicurezza. Come si può intuire, la tecnica del disegno stradale della zona 30 richiede particolare perizia; ma essa richiede, a monte, un cambiamento di visione del problema dello spazio stradale, che non deve più essere visto con l’ottica dell’automobilista che ha fretta, ma con quella del bambino che ha diritto alla sicurezza;
- l’educazione dei cittadini. Per quanto il ridisegno della strada sia eseguito con perizia, il mantenimento di un comportamento responsabile di guida richiede una convinta adesione da parte dei conducenti dei veicoli. Per cui l’azione di ridisegno delle strade deve essere accompagnata da un’efficace azione di educazione civica, che deve riuscire a diffondere comportamenti di guida più responsabili. Quest’azione educativa trova la sua massima efficacia proprio durante il processo di progettazione e attuazione della zona 30: il piano esecutivo della zona 30 deve costituire anche un momento di efficace educazione pubblica, per la quale deve essere apprestato uno specifico piano d’azione con iniziative che perdurino nel tempo.
Il sistema di pianificazione della mobilità urbana in Italia sfrutta due principali strumenti di piano in cui inserire l’esperienza delle zone 30:
- il piano urbano del traffico (PUT): un piano di gestione di brevissimo periodo (due anni), obbligatorio per i comuni con più di 30.000 abitanti o interessati da particolari flussi turistici o da fenomeni di pendolarismo (il cui elenco è redatto dalle Regioni). Istituito – sebbene come strumento non obbligatorio – con la circolare del Ministero dei lavori pubblici 8 agosto 1986, n. 2575, è divenuto obbligatorio nel 1992, con l’approvazione del Nuovo codice della strada. Il Nuovo codice della strada è stato approvato con il d.lgs. 285/1992 ed è stato modificato più volte, con decreti successivi; l’art. 36 del codice ha reso obbligatori i piani urbani del traffico. Il Nuovo codice della strada è accompagnato dal Regolamento di esecuzione e di attuazione, contenuto nel d.p.r. 495/1992;
- il piano urbano della mobilità (PUM): un piano strutturale di medio-lungo periodo (dieci anni), per i Comuni o le aggregazioni di Comuni con più di 100.000 abitanti, istituito – senza obbligatorietà – dalla legge 24 novembre 2000, n. 340. La stessa circolare istitutiva del PUT, cioè la n. 2575 del 1986, introduceva anche il piano dei trasporti, che però non è stato ripreso dalle norme successive e di fatto non ha avuto applicazioni concrete.
L’unico piano, che è stato effettivamente sperimentato in forma diffusa, è il PUT, per l’ovvia ragione che è stato l’unico strumento reso obbligatorio per legge: il PUM, infatti, è stato analizzato nel secondo piano generale dei trasporti e della logistica, adottato nel 2001, che non ha però valore di legge.
Sunto realizzato esaminando le Linee Guida per le Zone 30 della Regione Piemonte.